di Andrea Sardi
CAFE’ DOMINGUEZ – Credimi, ho aspettato questo momento per mesi: finalmente poter parlare dell’amicizia, il sentimento più celebrato dal Tango insieme all’amore. E che succede? Che il momento arriva proprio quando sto vivendo una delle più grandi disillusioni, per un’amicizia che pensavo viva e che invece s’è rivelata inesistente. Non so davvero bene perché, ma comunque così è. Quando ragioni di convenienza e di opportunità portano chi pensavi amico a dirti: “Scusa, ma prima di te viene il mio socio in affari”, dopo che tu hai dato, per quell’amico, il meglio che tu potessi … che dire, davvero il Destino è beffardo! Eh, come dice quel Tango: “Non mi stupisce che tu te ne vada, non mi stupisce il mio dolore: son le cose della vita, che oggi ci porta via, quello che ci ha donato ieri” [No me extraña, Tango, Música: Alberto Celenza e Antonio Romano; Letra: Carlos Bahr].
Non so, forse il Tango è più generoso di me: “Gli amici sono come i giudici: son fatti per sbagliare”, dice (e non chiedermi di chi siano queste parole perché adesso non lo ricordo; potrebbe essere Francisco Gorrindo, credo). Oggi il mio sentire è più vicino a queste altri versi: “Vecchia strada del mio quartiere dove ho fatto i primi passi, torno da te, sprecato il mazzo di carte (n.d.a. la vita) nell’inutile mescolare, con una ferita nel petto, con il mio sogno infranto, che si ruppe in un abbraccio che mi ha svelato la verità. Ho conosciuto tutto il male, ho conosciuto tutto il bene, so del bacio che si compra, so del bacio che si dà; dell’amico che è amico finché gli fa comodo, e so che con un sacco di soldi uno vale molto di più…” [Las cuarenta, Tango 1937, Música: Roberto Grela; Letra: Francisco Gorrindo].
Io semplicemente dico, come altre volte, con dolore: “Ciò che non è, non è mai stato, e mai sarà”.
Oh, sì, il tango canta l’Amicizia, e se scorri anche solo i titoli ne trovi tanti, a volte dedicati ad una persona in particolare, un altro artista, un collega (oggi i colleghi semplicemente si odiano o comunque si fan la guerra), altre agli amici “compagni di notti di allegria”, uomini e donne con cui si sono condivise le bravate e le illusioni giovanili : “… Vecchia Palermo (n.d.a.: quartiere di Buenos Aires) di allora, oggi torni alla mia mente. Quanti amici assenti, come me ricorderanno… quelle notti di verbena, quelle notti di gioia, e questo tango che si ascoltava, tra bicchieri di champagne…”
Amici che si sentono vicini anche dando loro l’estremo addio: “Addio, ragazzi, compagni della mia vita, cara brigata del tempo passato. Oggi è il mio momento di ritirarmi, devo allontanarmi dalla mia amata ragazza. Addio ragazzi, me ne vado, mi rassegno. Contro il destino nessuno può niente… Per me le baldorie son finite, il mio corpo infermo non resiste più…” [Adiós muchachos, Tango 1927, Música: Julio César Sanders, Letra: César Vedani, qui in una indimenticabile versione strumentale dove il tango elegante di Osvaldo Fresedo incontra il jazz di Dizzie Gillespie].
A volte mi chiedo se questi sentimenti d’Amore e di Amicizia altro non siano che una proiezione del nostro bisogno di colmare il vuoto insito nel nostro essere individui e come tali, soli nella vita. Allora ecco che ci creiamo la sceneggiatura e la scenografia, inventiamo i personaggi ognuno con il suo ruolo.
Poi ci aggiriamo per la vita come frenetici registi, affannandoci in un improbabile casting per tentare di realizzare il nostro spettacolo e portarlo in tournée, immaginando se non la prima (eravamo troppo piccoli per poterlo fare) almeno il gran finale.
Io, stanco di cercare inverosimili e inattendibili attori ed attrici, al contrario di César Vedani, questo finale davvero lo immagino in piena solitudine. Vedi, e poi mi contraddico, perché ti sto parlando da Amico, come in un Tango, anche se all’inizio, questa volta, non ho usato questa parola, come da tempo non uso più la parola amore. Per pudore, per delusione. Sto, guardando gli amici che restano, un po’ come quegli animali feriti che smarriti si guardano intorno, stupiti della inutile cattiveria umana e non sanno se sia davvero passata, o se ve ne sarà ancora.
Il Tango insiste: “Adiós amigo”, “Al amigo Daniel Scioli”, “Al amigo Salvador Grecco”, “Amigo hermano del corazón”, “Buen amigo”, “Consejo de amigo”, “Te llamás amigo”, “Tengo un amigo”…. “A los Amigos” [ Tango, Música: Armando Pontier]!
Amici, compagni di avventure notturne, non a caso spesso accostati al tempio stesso del Tango, il Café, laddove si sono consumati l’incontro, la passione, il tradimento, l’addio, e infine la confessione accorata del dolore e della disillusione, all’Amico, rivivendo ancora una volta nel ricordo ciò che ha acceso l’anima, in una ultima speranza e illusione di condivisione, in Amicizia, dopo il tradimento dell’Amore. “Oggi han cambiato la tua tinta, tutto è avvolto da nostalgia e una patina di nebbiolina, non vedo più i ragazzi d’angolo, quello del Café El Hobby… Quanti amici se ne sono andati; di tutti loro mi ricordo! Ci siamo persi di vista, vecchio caffè di Barracas, sento le tue luci opache che oggi tremano dentro il mio petto… Io sono il tuo amico sincero che non ti dimenticherà mai!” [Café de Barracas, Tango, Música: Eduardo Arolas; Letra: Enrique Cadícamo]
E poi ancora:“Bandoneón amigo”, “Tango amigo”…
E’ il bandoneón che mi riporta ad una grande amicizia, quella tra Aníbal Troilo e Homero Manzi. Nel cuore della notte di un autunno argentino, Manzi chiamò, dall’ospedale dove era ricoverato per un tumore, il “Pichuco” (Troilo), e gli raccontò che aveva in mente un tango, e gli chiese di prendere il bandoneón e di comporlo con lui, in quello stesso momento. Le infermiere gli spegnevano sempre le luci, la sera, e così lui non poteva scrivere. Così composero, al telefono, conversando e scrivendo parole e musica, sino all’alba, sino all’ultimo saluto. E mentre il poeta di “Malena” e “Sur” se ne andava, nacque “Che bandoneón”. “… La tua canzone è l’amore che non è stato vissuto, il cielo che una volta sognavamo, l’amico fraterno che affondò annaspando nella tempesta di un amore. E’ quel tremendo desiderio di piangere che a volte ci inonda senza motivo, è il sorso di liquore che ti costringe a ricordare…] [Che bandoneón, Tango 1949, Música: Aníbal Troilo, Letra: Homero Manzi].
Scrivo, in navigazione verso l’Isola e tornando là penso che oggi vorrei davvero un amico come quello che ho già avuto, e che se n’è andato, troppo presto. “Dipingeva muri che gli altri avrebbero visto, dipingeva la culla in cui dormivo, e cantava a bassa voce, accarezzando valzer, milonghe e qualche tango. Beveva mate sotto le limonaia, che fossero domeniche di luglio, aprile o gennaio e guardava la vita dalla sua virilità e insegnava a viverla con coraggio.
Lui parlava il linguaggio della tenerezza, con poche parole e mille dolcezze e amava le cose che volevo, i miei amici, il mio canto, la mia ribellione. Amava il mio canto, la mia ribellione.
Se n’è andato una mattina di aprile e sole, circondato da parenti e alcuni fiori. il mio abbraccio, che era suo, restò solo. Il mio vecchio è l’amico di cui ho bisogno oggi” [Es el amigo que hoy necesito, Tango – Habanera 1975, Música: José Ángel Trelles, Letra: José Ángel Trelles]. (DEDICA LA COPERTINA )